Blog temporaneamente chiuso per rinnovo mentale

Enzo Campi, non ho una cosa

non ho una cosa, io, e non abbiamo
più cose, noi, né voi, né sul fronte,
né sul retro, ma una sola pagina, io,
e più pagine, noi, e voi, solo aperte,
certo, ma anche chiuse, serrate a
doppia mandata, eppure esposte,
nelle superfici, o incorniciate da
margini invisibili, sempre presenti,
o presentati come una sola cosa da
difendere, o più cose da mortificare,
senza che ci sia una cosa per cui valga
la pena arroccarsi, o sulla quale infierire,
io, e noi, e voi, tutti in fila sulla linea
immaginaria che taglia il centro,
o debordati, in ordine sparso, dal centro
verso l’esterno, ma il centro non c’è,
e l’esterno non è adatto a contenerci,
non può incidere sulle nostre mani la
croce della disfatta, non ho una cosa,
io, e non abbiamo più cose, noi, né voi,
senza dire l’altro sul fronte, senza dire
altro che non sia stato già detto sul retro,
senza dire altro che non sia già stato
fissato o solo sospeso nell’intercapedine
tra la verità e la menzogna, nello spazio
neutro e neutralizzato da secoli di
palesi inutilità, senza notare la presenza
che ci sfugge, che non vuole approssimarsi
a me, a noi, a voi, per questo la pagina
resta vuota, seppur piena di cose che
cose non sono, per questo la pagina si
mostra vuota, si manca nel contatto
tra me e voi, nel contatto che non c’è,
che non c’è mai stato, se non nella
sublime distanza che ci abita, nella
distanza incapace di costruire una
dimora in cui far naufragare l’approdo,
e non ci sono, io, né voi, e non c’è
nemmeno la pagina, osservate con
attenzione, è vuota, contiene solo
le crepe, le cicatrici che coprono
il danno ma preservano il dolo, eppure
resiste l’idea di una reversibilità tra un
fronte e un retro, tra il fronte dove
erigere una barricata e il retro dove
celebrare la resa, e io, e noi, e voi,
tutti in fila, stremati, sezionati di netto
nel centro, abbattuti all’interno,
violati all’esterno, senza una
scrittura, io, senza una forma, noi,
senza uno stile, voi, eppure insiste
quella malsana reversibilità di un
fronte/retro votato alla sua assenza
di fondo, nel fondo, attraversando
il fondo, dove nessuno allunga il passo,
dove nessuno affonda la stoccata,
dove la cosa si consegna alle cose,
ma non ci sono cose qui, né altrove,
non nel disegno superiore, appena
accennato, di un’idea da difendere,
e anche i segni sono cose, facezie
da artigiani sopraffini che non sanno
cosa è cosa, cosa non è cosa, cosa sputa
il centro e cosa trattengono i margini

 

(Da un progetto abortito, inedito)

Daniela Attanasio, Ti sei mai chiesto

Ti sei mai chiesto perché quel modo attonito di restare in piedi
le ascelle ancorate come ganci alla giacca nel sudore freddo della pelle
mentre ancora un po’ di luce indicava l’ora pomeridiana da passare
in silenzio, da solo, senza programmi serali, lei appena uscita dalla porta?
-Me ne vado, è stata l’ultima frase apparentemente senza appigli. Avresti potuto
dire -aspetta…, un rigurgito di coraggio che ti è sfuggito di mano e sei rimasto in piedi.
Riuscivi a sentire la sua voce che al tassista diceva -stazione Termini per favore?
Riuscivi a spiare la sua faccia limata dalla rabbia e dalla pena? o magari
chiudendo gli occhi, la vedevi scrollare la testa per guarire dall’errore della noia?
Fuori dalla finestra gli alberi. Hai pensato al suicidio, in volo contro gli alberi.
Ti sei mai chiesto come è andata veramente?

 

(Da Di questo mondo, Nino Aragno Editore 2013)

Roberta D’Aquino, ritorni come l’inverno sulle strade

ritorni come l’inverno sulle strade, all’alba
mi rovisti il freddo sulle gambe. ti sollevi
come vapore dalle labbra e canti novembre
insieme ai morti
cerco ancora di espiare la mancanza, elaboro
questo lutto. mai una fascia m’ha coperto
gli occhi mai – nemmeno – mi ha riportato te

 

(Da Il senso sparuto del vuoto, Terra D’Ulivi Edizioni 2016)

Valentino Zeichen, La mattanza della bellezza

All’avvistamento della Bellezza
appena una polena che fende l’onda,
e all’istante sull’occhio critico
cala la benda nera del pirata
affilata cortellessa tra i denti
e inizia l’allegra mattanza
della sirena nella tonnara.
Ma in ambito letterario
l’innominato pratica il volontariato!
E rianima sperimentalisti smorti.

 

(Da Poesie 1963-2014, Mondadori 2017)

Simone Burratti, Sto scrivendo da un tempo diverso

Sto scrivendo da un tempo diverso,
dove tutte queste cose non sono piú importanti.
Ho sempre ferma in testa un’immagine di me
da bambino, e i suoi occhi sono buoni.
Vorrei che fosse l’unica immagine del libro,
ma è soltanto una mia proiezione, qualcosa che si è perso.
Scriverlo non significa salvarlo
ma tornare ad avere i suoi occhi per un attimo;
ripercorrere i movimenti della sua natura,
starlo a sentire, perdonare il suo futuro.

 

(Da Progetto per S., Nuova Editrice Magenta 2017)

Maria Allo, In sogno il vento ha grandi occhi di brina

In sogno il vento ha grandi occhi di brina
Polvere che imprime alle carni
Il disordine del giorno
Dalla gola una voce straripa
Invade l’aria annebbiando
Il corpo immenso del perdono
Qui resiste nel suo calore un grande cuore
Ci detiene e tutti ci contiene
Attendo parole antiche
In questo luogo non c’è
Altro luogo in cui vorrei essere
Ecco come la notte prende il sopravvento
Su tante solitudini straniere
Forse un destino c’è per questo cielo
Vaga già nel buio tra gli ulivi
Sui volti disperati
Ma davanti alla violenza non si cede
Fuori piove

 

(Da Solchi – La parabola si compie nei risvegli, L’Arcolaio 2016)

Andrea Lanfranchi, nel buio delle fondamenta

La benna della ruspa esiliava la terra
dal suo letto calcificato
a metri cubi (migliaia), per scovare
il sodo del sedime,
il buio delle fondamenta, nel poligono
della recinzione

Questo è un posto per scavare nell’ombra
– mi dicevo

Le palificate trivellate sotto
il ciglio della strada
sembravano ossa del giurassico
scarnificate, segni
di una tangibile evoluzione

Il resto di ciò che manca
– pensavo

E fu nella geometria prescelta,
in approssimazioni di calcolo inerziale,
che l’edificio crebbe

La natura stratificata del suolo
era l’alloggio di un dio da ingabbiare
nel ferro della costruzione
– un dio sfuggente, che fa sussultare
la terra, tremare il sangue,
gemere le vene

 

(Da Cantiere in luce, CFR Edizioni 2014)

Emanuela Ceddia, Parola

Parola, sei un occhio
che mi vede. Un occhio
che si schiude in faccia a
un dentro. Un senso
acuminato che mi trova.
Sei tocco affilato che decide.
Sei timpano, parola.
Membrana che vibra
in nuove corde. Sei fibra
del corpo immateriale.
Che insorge. Risale.

 

(Da Essere transitivo, LietoColle 2017)

Mara Venuto, L’Ospite

Sono ospite della mia carne di carta
e di mura scritte, con inchiostro depigmentato.
Resta vuoto il corpo in affitto
una casa in comodato d’uso, traversata da memorie
che fanno piovere dentro

 

(Da Gli impermeabili, Edita Casa Editrice e Libraria 2016)