Stefania Di Lino, avevi lo sguardo stupito

avevi lo sguardo stupito / di chi ruba i giorni alla vita / livido eri nel sangue troppo fluido uscito dall’ago / sparso a macchie sotto la pelle / inciampavi sui tuoi piedi / e cadevi con un tonfo d’animale sul pavimento / rimanevi tramortito / atterrito da chissà quale visione / o tormento,
[lungo ormai è l’elenco / delle assenze presenze che aleggiano nell’aria / muovono le tende / sei fumo alto ormai / mescolato a spore / di questo siamo fatti noi / dall’innocenza nati: / siamo i figli dello stesso vento],

(Da Il corpo del padre, Edizioni Progetto Cultura 2021)

Stefania Di Lino, quale stupida indomita fretta è quella di andare?

quale stupida indomita fretta è quella di andare? a quale sordo richiamo risponde la notte? / quale ombra cela questa lurida luce del giorno?,
[sono un’onda che si sta ritirando / sono un’onda che non ritorna / c’è qualcosa nella vita / e nelle unghie / c’è l’inesorabile che sfalda],

(Da Il corpo del padre, Edizioni Progetto Cultura 2021)

Mauro Pierno, Dal muro scorta

Dal muro scorta, diradata e liquida,
nel flusso rapido di un marciapiede enorme,
la nebbia ha gli arti fradici,
l’ululare stanco dei pixel in rivolta.

 

(Da Compostaggi, Edizioni Progetto Cultura 2020)

Mauro Pierno, Il bello è che le noci nella busta

Il bello è che le noci nella busta aspettano tranquillamente.
Il loro morso è duro solo all’inizio
poi le due metà perfette che in miniatura assemblano un
cervello,
cedono. I pensieri si frantumano tra i gherigli.
Diventano assaporabili, la velocità atterra nella
[masticazione.
Il profumo di un’idea la rende eterna. Il vento violento di
[una intuizione.

 

(Da Compostaggi, Edizioni Progetto Cultura 2020)

Mauro Pierno, Questa traccia di bosone

Questa traccia di bosone
evidenzia la falla inutile, in cucina

tre quattro sedie di serenità.
Il tavolo di traverso,

nel taglio della luce l’albicocca
spalmata sull’ultima fetta frantumata

Sul tagliere disperse
le briciole della fisica interrotta.

Un furto variopinte di parole,
Higgs che apre e richiude la dispensa.

(Da Compostaggi, Edizioni Progetto Cultura 2020)

Letizia Leone, Le ballate di Schiller divennero le mie poesie dell’appello

[…] Quando il tempo è dolore non si può far nulla di meglio che farlo passare, e ogni poesia diventa una formula magica. […] Le ballate di Schiller divennero le mie poesie dell’appello; grazie a loro riuscivo a stare in piedi per ore senza svenire, perché c’era sempre un altro verso da recitare, e quando un verso non ti veniva in mente, potevi pensarci, anziché pensare alla tua debolezza. […]

(Primo Levi)

Un cubetto di ghiaccio del 1943. O per meglio dire:
un dado di gelo, urla, ciottoli con dentro l’alba che affiora,
l’insensata montagna di delitti.

Vai a sbattere sulla barriera glaciale della Storia.
Perfino la poesia diventa cera,
la poesia vera, che è un tappo per le orecchie.

Le ballate di cera di Schiller furono i tappi di Primo Levi,
Uno, due, tre molliche di silenzio fino ai timpani.

Senza suono la musica delicata della memoria.
Abbassa il volume di queste raffiche dell’appello.

Ancora tracce fresche
sui fondali immensi delle miniere del Male?

 

(Da Viola Norimberga, Edizioni Progetto Cultura 2018)

Angela Greco, La cornice orfana dell’immagine è giustificata dal muro

La cornice orfana dell’immagine è giustificata dal muro.
Le parole non sono immuni alla terza dimensione. Anzi,
necessitano di profondità per scalare verticali.

«Saliamo, dal tetto le stelle sono più vicine»
(ride l’uomo con lo sguardo)
«La tua mano dice che faticherò a convincerti»
(replica lei)

La dama è in luce vestita di soli veli.
La caviglia nervosa trema d’impazienza alle note che entrano.
Lo scatto di un chiavistello dà inizio della danza.

«Dopotutto siamo solo un giro di valzer»
(dice serio l’uomo)

L’odore di bruciato strazia la camera adiacente.
«Abbiamo tempo.
Per salvarci».
Dice lei continuando a danzare.

 

(Da Anamòrfosi, Edizioni Progetto Cultura 2017)