Mark Bedin, Ecco, già di nuovo in fila rasente

IX.

Ecco, già di nuovo in fila rasente
il nastro delimitante, trascorso
poco più di un mese; devo tenere
controllata dell’acido Valproico
la quantità nel sangue. E di continuo
alterno il peso tra i polpacci
quando sento dolermi le natiche,
-contrazioni e poi rilasci-, mirando
la carne che cade a pezzi, un poco
stravolta, degli anziani.

E il rossore in volto
delle cassiere laddove errano
di date, e i blu-jeans
mentre affioca
la camicia a sbuffo dalla cinta,
dalle smagliature di bianco
alle ascelle accaldate d’agosto;

e io, non ignaro
che nell’uomo qualcosa spasima,
è l’intenerire con occhio
di ronda il mio mendicare di vita!
E il chiedermi se n’è valsa la pena:
se tanta medicina,
non sia ciò che in verità
più spaura? Lo si avvince senza
troppa astrusità: tra le ricette
che recano in mano, i giornali
di cronaca, parcelle o economia
nazionale, estera
poiché vi è qualcosa di mancante
per ciò che dovrà avvenire, se così
a lungo si dovrà ancora vivere.

(Da Il fallout degli Dei, RPLibri 2020)

Mark Bedin, Come un pescatore

III.

Come un pescatore,
nel fiumiciattolo che scorre
-escrementi, carte di snack, rampicanti-,
dagli argini decidui

-febbre-,
sente lo strascichio del giubbotto
per la pioggia, gonfio dalla pigiatura
dei muscoli affaticati per l’uso
delle pertiche.

La piroga irrobustita
-pelli di selvaggina, chiodi, filo di ferro-,
fluisce con lentezza primordiale
tra i ventri dei pesci ristagnati
in superficie;
-simulacro del relitto, benché
tentarne l’afferro è l’assiduo tocco
che disvela l’irraggiungibile
scintillio e giace desertico-.

-Antica-, dice: il tuo richiamo è balbettio
raffermo: l’impronta che a stento volgi dissipa:
come il bramito dei cervi nel mezzo della radura,
per assodata sfida, quando si è incrociati i palchi di corna
al modo dello scherma ma già viene l’inverno.
Di Euridice e Orfeo è l’inconvenienza che palesa
l’impossibilità di ciò che non -tra il duplice riflesso-,
si può carpire, che non si può intuire;
e il pensiero della morte mi accompagna in questo modo
-mastice punto fermo tarlo-;
all’interno insorge, crespo a scorza di polvere
e calura, alle piegature che provengono dall’ombra
affidata alle fiamme nelle patere
ai bordi d’un recondito pensiero,
innanzi a contesti ceramici
che s’aprono a guscio e incrinano e irradiano,
con l’odore dei buoi al macello.

(Da Il fallout degli Dei, RPLibri 2020)