Alfredo Rienzi, La notte che smarrimmo i luoghi

La notte che smarrimmo i luoghi
non bastarono i vecchi trucchi
d’astrolabi e cannocchiali, né il gioco
d’angoli o secanti, o negromanzie,
non servì il crepitio di stelle
né il rantolo del monte: nessuno
più comprendeva altezze
le distanze, se fossimo vicini
alla guglia di vetro o ancorati
a basse prospettive di pietraie.

 

(Da Oltrelinee, Dell’Orso Edizioni 1994)

Alfredo Rienzi, Aloysius Pagani nel cenacolo di Rue du Milieu

Vi saluto amici, poeti, spiriti inquieti.
Chi per la prima volta, chi per l’ultima.
È che siamo fragili.
E non dico di quella debolezza dei cuori o delle menti,
di quelle vie nebbiose che portano altrove dai nostri luoghi
dalle stanze troppo piene, dai letti dove sogniamo trame sminuzzate.
È che siamo fragili nei tendini e nelle ossa
nelle arterie che cedono come argini alle piogge.
È che tutte le nostre sussurrate
lettere e i pensieri e il nostro stesso nome
tenace come le colle dei minusieri
si rifugiano sotto la devota, ma insicura, cupola del cranio
che anche l’inesperto ladro può violare
e il ferro o un debole legno varcare.
Gli insetti sì che sanno resistere agli urti
le mosche contro i vetri
le tèrmiti resuscitando da città crollate
esoscheletri che non temono nulla.
I ragni, i ragni un poco forse ci somigliano: hanno barattato
la forza con l’arte di tessere il destino:
simmetrico e preciso, però, il loro
mentre il nostro si torce giorno a giorno
sbanda e si veste d’ogni genere di trucco
trasforma l’arma in trappola
il nutrimento buono in esca avvelenata,
si confonde e, in qualsiasi modo osservi,
si nasconde.

(Da Notizie dal 72° Parallelo, Joker Edizioni 2015)