Ennio Cavalli, Trent’anni

Sono padre del bimbo che a dieci anni
su questi muscoli trottava incontro
a un’abitudine già adulta
e con la stessa lingua moltiplicava feste e avvilimenti
i crucci perentori, indelebili obiezioni.
Un uomo tra germoglio e ramo,
vocale liquida nel doppiosenso.

Sono padre del bimbo che odiava l’aritmetica
e adesso suddivide estri per variabili future.
Gli ho insegnato a non piangere,
che la solitudine teme chi ha in casa un giradischi,
per amico un gatto o un’idea.
Si paracadutava nell’istinto e gli ho mostrato ortica e miele
la pesca col suo baco.

I miei occhi con lui hanno mangiato primavere
(profumate vivande)
e magnolie gonfie come colombe sui rami.
Abbiamo passato stagioni nel cappottino più corto,
oppure spavaldi in qualche capitale europea.
Le sue scarpe mi starebbero strette,
nelle mie immagina ancora
una meta importante, appuntamenti a Milano.

Tentava l’O di Giotto,
l’inconfutabile circoscrizione del talento.
Docile avversario, il muro trasformava palloni
in prodezze al volo (a quale finestra una bambina?).
Tra i suoi bottini, uova di lucertola
un otto a scuola, la Bianchi col cambio
per quella tappa in falsopiano.

Dovrei avere il triplo di saggezza.
Mi appello invece a sue nozioni elementari,
il cuore sempre a due spanne dalla testa.
Dov’è a quest’ora? Ucciso dal chiodo della cresima
soffocato di sangue adolescente
da padre tartaro squartato col coltello,
mi lasciò le sue ossa e il profilo.
Dorme in un cimiterino di paese
dopo la polvere e dopo le magnolie.
Questi trent’anni sgocciolati e in bilico
sono il segreto, l’esile zavorra messa in salvo.

O forse vive un poco in me, chimicamente esausto,
un poco per il mondo,
nelle notizie edificanti dei giornali
nelle paure come foglie accatastate
e mai un falò, un argomento a incenerirle.
Resterà per capire, ad annusare.
Sarà un’idea nel quaderno delle imprecisioni
la sorpresa riletta in una foto.

 

(Da Trent’anni, L’Airone Edizioni 1978)